Impianti di trattamento TMB
TMB – FABBRICA DEI MATERIALI
Descrizione di un impianto di trattamento meccanico-biologico del rifiuto residuo da raccolte differenziate (RUR) finalizzato alla massimizzazione del recupero di materia e minimizzazione del ricorso alla discaricaAbbreviazioni
PCI Potere Calorifico Inferiore
FORSU Frazione Organica del Rifiuto Urbano raccolta in modo differenziato
RD Raccolta differenziata
RU Rifiuti Urbani
RUR Rifiuto Urbano Residuo o secco residuo
TMB Trattamento Meccanico Biologico
1 - Inquadramento strategico e Normativo
Una valutazione delle strategie praticabili in relazione alla gestione del rifiuto urbano residuo da raccolta differenziata (RUR) deve considerare non soltanto il quadro regolamentare a livello Nazionale e Regionale, ma soprattutto le relative tendenze ed indicazioni strategiche che il Legislatore Comunitario ha o sta elaborando. L’inquadramento strategico deve quindi completarsi in base allo stato di avanzamento delle RD nel territorio di riferimento, alla composizione del RUR e allo scenario impiantistico definito dalla
Pianificazione Regionale in essere.
La vigente Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) si colloca come naturale risultato evolutivo delle politiche comunitarie precedenti, puntando tra l’altro all’attuazione di politiche più ambiziose ed efficaci per la prevenzione dei rifiuti, e ad incoraggiare il riutilizzo ed il riciclaggio degli stessi. In estrema sintesi, il concetto fondamentale che sta alla base della nuova Direttiva può essere espresso dall’obiettivo di realizzare la cosiddetta “società fondata sul riciclaggio.
Il cardine delle politiche di gestione dei rifiuti delineate dalla direttiva è l’individuazione della scala gerarchica di gestione dei rifiuti, intesa quale ordine di priorità da assumere come riferimento, e che risulta così strutturata:
a Prevenzione
b preparazione per il riutilizzo
c riciclaggio
d recupero di altro tipo
e smaltimento
A livello di Indicazioni di tendenza provenienti dal quadro europeo va inoltre ricordata la recente Risoluzione del Parlamento (del 20-4-2012) che individua le priorità del settimo Programma di Azione Ambientale e che chiede di prevedere la piena attuazione della legislazione sui rifiuti, in particolare il rispetto della citata gerarchia di gestione, garantendo coerenza con le altre politiche dell'Unione Europea; la risoluzione afferma che il Programma di Azione Ambientale debba fissare obiettivi di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio più ambiziosi, tra cui una netta riduzione della produzione di rifiuti. Vengono quindi indicati tra l’altro i seguenti indirizzi:
- incoraggiare la creazione di schemi incentivanti la promozione della domanda di materiali riciclati
- mirare alla piena implementazione della legislazione sui rifiuti, inclusa la conformità alla gerarchia definita delle opzioni di trattamento dei rifiuti
- definire obiettivi più ambiziosi di prevenzione, riuso e riciclaggio dei rifiuti
- evitare l’incenerimento di rifiuti che siano adatti al riciclaggio o al compostaggio, nel rispetto della gerarchia della Direttiva rifiuti
- vietare rigidamente lo smaltimento in discarica di rifiuti raccolti in forma differenziata
- definire obiettivi settoriali come riferimento per l’utilizzo efficiente delle risorse e l’efficienza dei processi
- richiamare il concetto di rifiuto come “risorsa” e le possibilità di suo riutilizzo
- valutare modalità per efficientare la raccolta dei rifiuti provenienti dai prodotti post-consumo, sia estendendo il principio della responsabilità estesa del produttore sia attraverso linee guida riguardo la gestione dei sistemi di recupero, raccolta e riciclaggio
- rielaborare gli obiettivi già stabiliti in diverse direttive riguardo alla raccolta e separazione dei rifiuti, ricercando i più alti livelli di recupero dei materiali, con riferimento anche alla qualità degli stessi, nell’ambito delle fasi del processo di riciclaggio.
L’11/6/12 il Consiglio dell’Unione Europea ha a propria volta adottato un documento di conclusioni sull’impostazione del VII Programma d’azione ambientale, richiedendo tra l’altro alla Commissione di includere misure che supportino le condizioni per un’economia circolare e verde, quali:
- stimolare l’utilizzo efficiente delle risorse, cicli di materiali non tossici e la riduzione dei rifiuti
- stimolare il mercato dei materiali secondari e la domanda di materiali riciclati
- stimolare l’avanzamento verso un’economia basata sulla riduzione, riuso e riciclaggio dei rifiuti, evitando di recare danno alla salute, sicurezza e all’ambiente
- minimizzare, in una prospettiva di completo azzeramento, lo smaltimento in discarica di rifiuti riciclabili e biodegradabili.
L’Unione Europea ambisce pertanto a diventare fondamentalmente una “società del riciclo”, contribuendo ad un migliore utilizzo delle risorse e ad una maggiore sicurezza del suo approvvigionamento. Alla base di questo indirizzo strategico vi è certamente una crisi da scarsità di risorse che è stata tra l’altro tematizzata da un report pubblicato dall’Agenzia per l’Ambiente Europea (EEA) intitolato “Material resources and waste — 2012 update” (scaricabile all’indirizzo http://www.eea.europa.eu/highlights/europe2019s-demand-forresourcesreaching?utm_source=EEASubscriptions&utm_medium=RSSFeeds&utm_campaign=Generic). Il report afferma tra l’altro che l’Europa importa il 20-30% delle risorse necessarie al soddisfacimento della domanda interna, nonostante l’utilizzo sempre più efficiente delle materie prime. Questo dato, unito alla crescente domanda mondiale di risorse limitate (si pensi ad esempio all’enorme crescita della domanda daparte di economie in forte crescita quali quella cinese e indiana), porta a ritenere imprescindibile che
l’Europa faccia un uso più efficiente sia delle materie prime che dei rifiuti
Relativamente alla quota di rifiuto urbano residuo dalla raccolta differenziata e destinato a smaltimento, è opportuno ricordare che la sua gestione è regolamentata dalla direttiva discariche (Direttiva 1999/31) e dal suo decreto di recepimento (d.lgs 36/03). La direttiva (art. 6 lett. a) stabilisce che “solo i rifiuti trattati vengono collocati a discarica”. Tuttavia, di seguito, lo stesso punto a) dell’art. 6 specifica che la collocazione a discarica può anche essere ammessa per “(…) qualsiasi (…) rifiuto il cui trattamento non contribuisca agli obiettivi di cui all’articolo 1 della presente Direttiva, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana o l’ambiente”. L’obbligo di pretrattamento, viene essenzialmente ricondotto nella pratica al TMB o all’incenerimento, dal momento che i soli trattamenti biologici o termici sono in grado di conseguire la riduzione della fermentescibilità potenziale del rifiuto da collocare in discarica, e dei conseguenti impatti in termini di produzione di biogas, percolati, attrattività, ecc. L’obbligo è subordinato al principio di efficacia, ossia vige solo laddove il pretrattamento stesso è necessario per ridurre impatti e rischi della collocazione a discarica. Tale secondo principio implica una condizione di esenzione per quei rifiuti e quelle condizioni in cui impatto e rischio siano già intrinsecamente minimizzati. Tuttavia, vista la formulazione “generica” di tale condizione, ed allo scopo di non sconfinare in ipotesi di valutazione soggettiva od autocertificazione della condizione di “basso rischio”, è evidente la necessità di una codificazione delle condizioni di esenzione.
Attualmente, la Regione Piemonte codifica l’esenzione attraverso la Deliberazione della Giunta Regionale 17 maggio 2011, n. 69-2068 (Adeguamento ai nuovi limiti previsti dall'articolo 5 del D.Lgs 13 gennaio 2003 n. 36 relativi al collocamento dei rifiuti urbani biodegradabili in discarica). Questa DGR, in particolare, imposta il calcolo, semplificandolo, sulla quantità complessiva di RUR (rifiuto urbano residuo) in kg/ab.anno, correlandola poi alla quantità presuntiva di RUB in esso contenuta. Nella DGR si legge: Il Programma regionale per la riduzione dei rifiuti urbani biodegradabili da collocare in discarica ( …) ha definito che conferendo in discarica un quantitativo di rifiuto urbano indifferenziato inferiore ai 280 kg/anno pro capite, il quantitativo di RUB contenuto nel rifiuto indifferenziato risulta essere inferiore a 173 kg/anno pro capite; a queste condizioni pertanto il rifiuto urbano indifferenziato può essere conferito in discarica senza trattamento (…) [dal Marzo 2011, NdR] Qualora i quantitativi di rifiuti urbani indifferenziati siano inferiori a 196 kg/anno pro capite, i rifiuti urbani biodegradabili in essi contenuti non superano la soglia dei 115 kg/anno pro capite, e possono in tal caso usufruire della deroga dell’obbligo del trattamento per il conferimento in discarica.
A nostro avviso, tale impostazione, che pure ha il pregio di semplificare il quadro complessivo delle valutazioni (riconducendole tutte alla sola quantità di RUR complessivo) non risponde appieno alle 2 condizioni (coesistenti) di cui alla Direttiva Discariche 99/31, ossia
a) la riduzione dei RUB,
b) l’obbligo del pretrattamento, in quanto riconduce l’esenzione dalla seconda al rispetto della prima, il che non è nello spirito, né nella lettera della Direttiva. Avremo modo di riprendere il tema affrontando lo specifico caso in esame del bacino gestito dal consorzio( o gruppo di comuni).
Declinando invece i temi affrontati sulla migliore opzione di pretrattamento del rifiuto, il privilegio del recupero di materia rispetto a quello dell’energia, che appare chiaro negli indirizzi strategici comunitari, si sta proponendo in modo importante in diversi contesti del territorio nazionale, specialmente laddove il ricorso all’incenerimento sistematico di RU è fortemente dibattuto; in diverse Regioni si stanno sviluppando proposte operative e pianificatorie concrete volte a massimizzare il recupero di materia e minimizzare il fabbisogno di impianti di incenerimento dedicati (quindi appositamente realizzati) per RU; citiamo ad esempio alcuni “segnali” provenienti dai vari Ambiti territoriali, quali:
- la Provincia di Reggio Emilia, che ha contestualmente ufficializzato la dismissione dell’inceneritore di Cavazzoli, tecnologicamente vetusto, e la sua sostituzione con un impianto di trattamento “a freddo” del RU mediante trattamento meccanico biologico (TMB) orientato alla massimizzazione del recupero di materiali (cosiddetta “Fabbrica dei Materiali”)
- Il Comune di Parma, che ha raccolto, tramite una procedura di “Manifestazione di Interesse” proposte alternative all’inceneritore basate su “trattamento a freddo con recupero di materia”
- la Provincia di Lucca, provvista di un impianto TMB orientato originariamente alla produzione di CDR da avviare all’inceneritore di Falascaia; in seguito alla chiusura dell’inceneritore, è ad oggi prevista la conversione dell’impianto di pretrattamento di Pioppogatto da “produzione di CDR” a “ulteriore recupero di materiali”
- la Provincia di Imperia, che ha impostato la propria strategia di bacino su un impianto di trattamento del RUR inteso alla massimizzazione del recupero di materia
Tali iniziative poggiano su basi operative consolidate, e rappresentate da diversi impianti (localizzati soprattutto nel Nord-Est d’Italia) che già adottano, in diversa combinazione, vari sistemi di recupero di materiali dal RUR. Nei prossimi paragrafi, gli approcci più evoluti al pretrattamento del RUR in tale direzione saranno declinati sul caso specifico del bacino gestito da consorzio( o gruppo di comuni).
2 - Le possibili scelte impiantistiche per il trattamento del rifiuto residuo
Il TMB quale approccio per la riduzione della fermentescibilità del rifiuto
In coerenza con l’impianto complessivo della Direttiva Discariche e con i criteri di minimizzazione degli impatti e rischi legati alla gestione delle discariche, i sistemi di trattamento del RUR dovrebbero dunque in prima istanza garantire la riduzione della fermentescibilità e con ciò stesso della tendenza alla produzione, nel corpo della discarica, di biogas e percolati a forte aggressività chimica.
Assecondando gli indirizzi strategici delineati dalle politiche comunitarie delineati in apertura del documento, e mantenendo l’obiettivo della riduzione di peso, volume ed impatto dei materiali collocati a discarica, una alternativa all’incenerimento del RUR è rappresentata dagli impianti di pretrattamento “a freddo” (trattamento meccanico-biologico o TMB). In effetti i processi biologici consentono di ottenere la stabilizzazione della frazione organica residua contenuta nel RUR, riducendo sostanzialmente la tendenza alla produzione di biogas (figura 1) e abbattendo il COD negli eluati dell’ordine dell’80-90%; queste performance sono inoltre accompagnate da una riduzione complessiva del peso dei rifiuti trattati
nell’ordine del 20-30%, grazie alle perdite di processo, associate alla riduzione della fermentescibilità delle componenti biodegradabili e all’evaporazione dell’acqua contenuta nei rifiuti. Le operazioni meccaniche di separazione dei rifiuti possono inoltre consentire di ridurre ulteriormente il quantitativo di rifiuto da avviare a smaltimento (fino al 50-60%) integrando alla stabilizzazione delle componenti fermentescibili ulteriori processi di recupero.
Proposta di integrazione del layout di un impianto TMB con sistemi di recupero dei materiali
I sistemi di TMB sono in generale connotati da diversi e specifici aspetti qualificanti, quali:
- la scalabilità, intesa come la possibilità di conseguire buone economie di scala, in impianti basati comunque su tecnologie di processo e di presidio ambientale efficaci, anche a basse capacità operative (poche decine di migliaia di tonnellate/anno)
- la possibilità di unire processi biologici tesi alla riduzione della fermentescibilità del rifiuto a operazioni meccaniche finalizzate al recupero di materia
- la flessibilità di impiego, intesa come la adattabilità e possibilità di convertire progressivamente le sezioni di trattamento biologico in linee per il compostaggio o la digestione anaerobica di frazioni organiche da raccolta differenziata, e le linee di lavorazione meccanica in linee per la ulteriore valorizzazione di materiali provenienti dai circuiti di RD.
Rispetto agli obiettivi di massimizzazione del recupero dei materiali e della minimizzazione del ricorso alla discarica, la principale linea di sviluppo di una proposta impiantistica fa riferimento al recupero di materia sulle frazioni di sopravaglio, tradizionalmente avviate alla produzione di CDR; l’obiettivo della massimizzazione del recupero di materiali è ispirato alle seguenti indicazioni, desunte dalle esperienze operative in corso e dalla composizione ottimale dei singoli passaggi di lavorazione:
- in base alle buone pratiche operative esaminate, le migliori esperienze di recupero materiali dal RUR si basano su una prima separazione dei flussi tra sopravaglio e sottovaglio, in modo da operare sui sopravagli con gli ulteriori interventi di selezione fisico-meccanica, ottica, ecc.
- per il recupero di materiali dalle frazioni di sopravaglio, gli schemi operativi efficaci sono dati dalla combinazione di separazioni
- magnetiche ed a correnti indotte (per il recupero dei metalli ferrosi e non ferrosi)
- densimetriche o balistiche (per il raggruppamento dei materiali in base ai pesi specifici, e la separazione dei materiali bidimensionali, quali film e cartoni, dai materiali tridimensionali quali flaconi, bottiglie ed altri oggetti)
- ottiche (per il recupero diretto dei polimeri plastici a più alto valore e di vari materiali cellulosici)
- manuali (in genere, per il recupero diretto di film plastici e cartoni sui materiali bidimensionali)
- un elemento oggetto di interesse per un ulteriore aumento delle rese di recupero è dato dalla possibilità di ottenere un recupero di materia anche sulla quota di rifiuto residua dalle sopracitate operazioni di selezione, (il 20% circa) tradizionalmente avviato a valorizzazione energetica come CDR e CSS. Rispetto a tale flusso, è raccomandabile l’introduzione di uno step di estrusione, in ragione delle seguenti valutazioni:
a) l’estrusione, è già oggi applicata con esiti positivi in impianti destinati al trattamento di plastiche da RD (ad esempio, gli impianti di Pontedera in Toscana e Vedelago in Veneto); in
quest’ultimo caso, sono state condotte prove (anche estese nel tempo) di trattamento del RUR, pur se impostate sul concetto della miscelazione diretta del RUR con altre plastiche esogene (da
RD in ambito urbano od industriale), il che pone il tema della sostenibilità complessiva del bilancio di massa sono già state effettuate con successo prove dirette di estrusione su frazioni eterogenee raggruppate per selezione del RUR, senza ulteriore miscelazione con plastiche esogene. Nel caso specifico dell’impianto qui in esame, la cosa verrebbe facilitata:
i. dalla separazione sopra/sottovaglio, che allontana le componenti organiche sporche non intercettate dalla RD
ii. dalle separazioni sequenziali a monte, che consentono di raggruppare i materiali per affinità fisico-meccaniche e di densità, il che tende a residuare nello scarto di tali selezioni
un mix di materiali eterogenei, ma a larga prevalenza di componenti plastiche (l’estrusione richiede circa un 60% almeno di componenti plastiche all’ingresso)
b) le filiere di potenziale commercializzazione dei manufatti e materiali ottenibili tramite estrusione (anche su matrici eterogenee da selezione del RUR) danno ad oggi esiti confortanti,
su collocazione e valorizzazione di tali materiali, sotto forma ad es. di:
i. sabbie artificiali per edilizia
ii. profilati e listelli di varia natura (es. componenti delle scocche dei motoveicoli, vasi e fioriere, profilati di supporto per sottofondi stradali, pavimentazioni carreggiabili erbose o
altri elementi di arredo urbano)
Il layout di riferimento per l’impianto
Nella configurazione più tipica, l’impianto TMB è costituite da una successione delle seguenti fasi:
- Avvio del RUR ad una macchina rompisacchi, che rompe gli involucri nei quali sono conferiti i rifiuti senza triturazione dei materiali contenuti;
- una vagliatura grossolana (maglia tipicamente compresa tra 80 e 120mm) per la separazione del sottovaglio (più ricco di organico) dai sovvalli, contenenti le frazioni recuperabili;
- Sui sovvalli:
- una separazione magnetica dei metalli ferrosi e una separazione a correnti indotte dei metalli non ferrosi;
- una separazione balistica dei materiali bi- e tridimensionali
- uno o più stadi di selezione ottica
- eventuali postazioni di cernita manuale, in genere sopraelevati per permettere la caduta dei materiali separati nei contenitori sottostanti attraverso apposite bocchette di caduta
- uno o più stadi di separazione densimetrica, allo scopo di separare sugli scarti i flussi di materiali leggeri (carta, film plastici) da quelli a maggiore densità (es. altri materiali plastici)
- eventuali stadi di estrusione dei materiali plastici eterogenei
- Sui sottovagli:
- Stabilizzazione biologica onde minimizzare la fermentescibilità
- eventuale raffinazione per utilizzi parziali (laddove se ne dia l’opportunità per richieste
locali in tali tipologie di interventi) del biostabilizzato come materiale tecnico per bonifiche,
coperture e rivegetazione di discariche, sistemazioni a verde a corredo della viabilità
stradale, ecc.
Pur nella diversa configurazione specifica che il sistema può assumere in relazione alle scelte di dettaglio,
l’interesse nei sistemi di separazione e recupero delle diverse frazioni riciclabili ancora presenti nel RUR
deriva dalla tradizione delle Piattaforme di Selezione delle raccolte multimateriale, diffusamente presenti
negli scenari operativi del contesto centroeuropeo ed anglosassone. Tale tendenza si è recentemente
consolidata in ambito nazionale in ragione di alcuni fattori “di contesto” ed altri di tipo tecnologico. Da un
lato, va citata l’esigenza di allontanamento dal RUR dei materiali ad elevato potere calorifico, in ossequio ad
una previsione del D.lgs. 36/03 che vieta lo smaltimento a discarica di rifiuti con PCI>13MJ/kg; dall’altro,
l’evoluzione delle tecnologie di separazione e valorizzazione dei diversi materiali, che consentono di
ottimizzare le rese di separazione e recupero con particolare riferimento - ai selettori ottici e le loro applicazioni nell’ambito della impiantistica relativa alla gestione dei rifiuti, in
particolare legata alla separazione degli imballaggi in plastica nei vari polimeri, ma estendibile ad altre
frazioni quali carta, cartone, tetrapak, ecc…
alle tecniche di estrusione per la produzione di sabbie sintetiche e profilati, che consentono di lavorare
sugli aggregati eterogenei di vari tipi di plastica massimizzando con ciò il recupero complessivo
Le rese di separazione, e dunque i vantaggi in termini di minore abbancamento a discarica, minori costi di
smaltimento conseguente, maggiore allontanamento di materiali ad elevato PCI, possono d’altronde trarre
ulteriore giovamento da una maggiore articolazione dei sistemi di selezione, impostata in particolare sui
seguenti paradigmi operativi:
introduzione di passaggi di separazione densimetrica allo scopo di “raggruppare” frazioni di densità
analoga, e agevolare i successivi passaggi di selezione ottica o manuale (o loro combinazione)
addensamento dei materiali plastici eterogenei, anche attraverso le separazioni densimetriche di cui
sopra, e loro avvio ad operazioni di estrusione per la produzione di granulati sintetici da applicare in
edilizia, secondo esperienze già consolidate.
Le rese di intercettazione di tali materiali con i sistemi combinati di selezione (ottici, densimetrici,
dimensionali, magnetici, manuali) non può chiaramente essere del 100%. Tuttavia, tali insufficienze di
intercettazione possono essere compensate dalla integrazione, negli schemi operativi, di sistemi di
valorizzazione complementare, quali le estrusioni sul plasmix, che consentono di includere nei granulati
anche parti delle frazioni cellulosiche sfuggite alla selezione diretta.
Razionalizzando gli spazi all’interno degli edifici di lavorazione, un impianto TMB come descritto e per una
capacità di trattamento di 20.000 t/a di rifiuti prevede un fabbisogno di spazi indicativo di 4.500 m2, di cui
3.500m2 di edifici di lavorazione (ricezione, trattamento meccanico, trattamento biologico). Gli edifici, posti
in depressione con depurazione delle arie esauste prelevate al loro interno, sono fisicamente o
funzionalmente collegati, in modo tale da garantire che i rifiuti conferiti non lascino gli ambienti presidiati
prima della conclusione del processo di lavorazione, e lo facciano esclusivamente all’interno di mezzi adibiti
al loro trasporto agli impianti di smaltimento o di riciclaggio.
Stima dei costi specifici di investimento
La realizzazione di impianti per il trattamento e smaltimento di RU si confronta, alla luce degli investimenti
necessari in presidi ambientali, come un importante impegno di spesa che le Amministrazioni di Ambito
debbono pianificare ed i cui tempi di ammortamento si estendono su un periodo dai 10 ai 20 anni. Sulla
base di una rassegna delle situazioni già operative, i costi unitari di investimento variano sensibilmente
rispetto alle capacità di trattamento complessive. Ad esempio, uno studio condotto per la Commissione
Europea nel 2009 (Assessment of the options to improve the management of bio-waste in the European Union), riporta i seguenti costi specifici per impianti di TMB suddivisi per capacità di trattamento
complessive:
Costi indicativi di investimento per impianti di TMB rispetto alla taglia (Arcadis 2009)
Per tecnologie di TMB il cui processo biologico è di tipo anaerobico, l’investimento specifico, in base a dati
raccolti dalla Scuola Agraria del Parco di Monza è maggiore, con sensibili variazioni in base alle capacità di
trattamento. È tuttavia da sconsigliare, in generale, l’adozione di tecnologie anaerobiche per taglie di
impianto tali per cui la frazione da trattare biologicamente sia inferiore a 10-15.000 t/a, capacità soglia per
la sostenibilità economica degli investimenti.
A partire dai costi parametrici esposti, e sulla base di dati acquisiti su nuove installazioni recentemente
realizzate, riportandoci ad un impianto di riferimento della taglia indicativa di 20.000 t/a si possono
prevedere costi di investimento compresi tra 200 e 300 €/t trattata (4.000.000-6.000.000 € complessivi), il
cui ampio intervallo è largamente dipendente dalle scelte operative specifiche effettuate sulle differenti
sezioni di trattamento.
4 Altre Considerazioni ed opportunità operative
Alle valutazioni generali sviluppate nei precedenti paragrafi è opportuno aggiungere alcune considerazioni
di dettaglio che possono essere così sintetizzate:
come osservato nell’analisi del contenuto del RUR, la frazione “pannolini” rappresenta una quota non
trascurabile del rifiuto stesso; tale frazione si concentra progressivamente nel percorso di selezione
automatica e manuale, fino a diventare la principale componente degli scarti di lavorazione dei sovvalli.
Data la loro significativa fermentescibilità residua si dovrebbero quindi prevedere
o azioni tese alla riduzione del conferimento dei pannolini nel rifiuto indifferenziato
(promozione dei pannolini lavabili, attivazione di circuiti di raccolta dedicati)
o oppure una fase di stabilizzazione biologica anche per la frazione di sovvallo nella quale
sono stati concentrati i pannolini
lo sviluppo di strategie di valorizzazione del biostabilizzato, in applicazioni di tipo “tecnico” (ad
integrazione delle terre di copertura in discarica) o agronomico non di pregio (come ammendante
per interventi di rivegetazione in operazioni di ricomposizione/ripristino ambientale) andrebbe ad
incidere significativamente sulla resa di recupero complessiva dell’impianto di trattamento,
riducendo proporzionalmente gli scarti destinati a smaltimento in discarica (o ad incenerimento) ed
il relativo costo. Il tema richiede una codifica a livello tecnico-regolamentare, che alcune regioni
(non è, a quanto ci risulta,il caso del Piemonte) hanno già provveduto ad implementare.
Allo stato, è comunque opportuno anticipare che la lavorazione dei biostabilizzati allo scopo di dare
loro una destinazione d’uso, richiede:
1. periodi di maturazione sufficientemente lunghi da ottenere una sostanziale stabilizzazione e
perdita di fitotossicità
2. interventi di raffinazione finale:
a. di solo tipo dimensionale, nel caso di applicazione come materiale tecnico
b. di tipo dimensionale/densimetrico, per ottenere materiali utilizzabili a scopo
ammendante.
Entrambi i sistemi di raffinazione sono poco ingombranti e non richiedono stravolgimenti
importanti dei lay-out impiantistici
l’auspicabile progressivo aumento delle prestazioni complessive del bacino gestito dal consorzio( o gruppo di comuni) in termini
di riduzione della produzione complessiva dei rifiuti e di incremento delle raccolte differenziate non rappresentano un motivo di diseconomie per
l’impianto TMB ipotizzato. Una riduzione dei conferimenti di RUR all’impianto, infatti, offre
l’opportunità di utilizzare le stesse linee di lavorazione, parzialmente inutilizzate, per:
o effettuare le operazioni di selezione su frazioni derivanti da raccolta differenziata (carta,
plastica, raccolte combinate plastica/lattine, ecc.) attraverso la linea di lavorazione
meccanica dei sovvalli
o sottoporre a recupero mediante compostaggio la frazione organica da raccolta
differenziata, attraverso la linea di stabilizzazione della frazione di sottovaglio, previa
eventuale integrazione dell’impianto con una sezione maturazione e di raffinazione del
prodotto